I 5 concetti base della fotografia

I 5 concetti base della fotografia

Categoria :

I 5 concetti base della fotografia sono Il tempo di scatto (detto anche tempo di esposizione); Apertura del diaframma; ISO cosa sono e a cosa servono; Bilanciamento del bianco; Messa a fuoco. Andiamo ad esaminarli voce per voce.

I 5 concetti base

Il Tempo di scatto (detto anche tempo di esposizione)

Il tempo di scatto o tempo di esposizione è il lasso di tempo in cui l’otturatore resta aperto, permettendo alla luce di generare l’immagine raggiungendo il sensore (o pellicola nel sistema analogico).

L’otturatore è fatto come la saracinesca del garage, si apre e si chiude scorrendo parallelamente al sensore, si aprirà al momento dello scatto, resterà aperta per la durata del tempo di scatto impostato, e poi si chiuderà.

Più breve è il tempo di scatto (o esposizione) e meno luce verrà raccolta dal sensore o, al contrario, più lungo è il tempo di scatto e più luce verrà raccolta dal sensore.

I valori sono indicati nella macchina fotografica in frazioni di secondo, che possono variare da 1/32.000 (in camere molto particolari), passando per le velocità più usate che vanno da:

  • 1/2000
  • 1/1000
  • 1/500
  • 1/125
  • 1/60
  • 1/30
  • 1/15
  • 1/8
  • 1/4
  • 1/2
  • 1 secondo
  • 2, 4, 8, 15, 30

e così via fino ad arrivare alla posa b (Posa Bulb ovvero dall’inglese in riferimento al bulbo dello scatto pneumatico usato agli albori della fotografia), ovvero con un tempo di esposizione personalizzato.

La scala di tempi, nelle attuali macchine digitali, raddoppia o triplica i valori che possiamo scegliere nelle impostazioni i “mezzi tempi” o “terzi tempi”.

Non passeremo più – per fare un esempio – da 15 a 30 secondi. Ma in mezzo troveremo il valore di 20 secondi (se abbiamo impostato i mezzi tempi) o i due valori di 20 e di 25 secondi se abbiamo impostato i terzi di tempo. Questi parametri servono per aumentare la finezza di regolazione rendendola più fine e quindi più precisa rispetto ai tempi interi.

La scelta di tenere il sensore esposto per più o meno tempo alla luce serve anche per ottenere alcuni effetti creativi particolari.

Apertura del diaframma

Il diaframma è un elemento meccanico che si trova negli obiettivi della macchina fotografica e ha la particolarità di creare un foro di dimensioni variabili (che si possono modificare con le impostazioni) per poter regolare la quantità di luce che passa all’interno dell’obiettivo.

La modifica delle impostazioni di apertura del diaframma comporta il variare della profondità di campo, che è un concetto molto importante per ottenere buone fotografie in base al tipo di soggetto che si vuole fotografare.

Valori tipici dell’apertura del diaframma si chiamano f-stop e sono: f/1, f/1.4, f/2, f/2.8, f/4, f/5.6, f/8, f/11, f/16, f/22, f/32 etc.

Ogni f-stop dimezza l’intensità di luce incidente sul sistema ottico rispetto al quello precedente.

ISO: cosa sono e a cosa servono

Gli ISO nella fotografia digitale, indicano la sensibilità del sensore alla luce ed è un parametro che si regola elettronicamente (nella fotografia analogica corrisponde agli ASA, i valori di sensibilità delle pellicole fotografiche).

Valori di ISO alti indicano una sensibilità maggiore e quindi una maggiore quantità di luce percepita dal sensore, e questo permette di riprendere scene in cui la luce disponibile è minore senza aggiungere luci artificiali o ausiliarie come il flash o lampade.

L’altra faccia della medaglia dell’aumento degli ISO è il peggiorare della qualità della fotografia, l’aumento del rumore digitale, e la perdita di definizione: più si aumenta la sensibilità ISO più l’immagine degrada con l’aumentare di ciò che viene detto rumore digitale.

Bilanciamento del bianco

Il bilanciamento del bianco (WB) è una impostazione molto importante delle fotocamere digitali e che spesso è ignorata.

Il bilanciamento del bianco è il processo grazie al quale si possono correggere eventuali dominanti di colore di una fotografia per rendere più fedele e corretta possibile la riproduzione delle tonalità di colore impresse sul sensore della fotocamera digitale quando si scatta una fotografia. Ogni tipo di luce ha una sua temperatura che comporta un effetto cromatico, e la fotocamera deve essere impostata per interpretarla correttamente.

Valori tipici sono: Tungsteno 2850K, Luce diurna 5150-5500K, Ombra 7000K. [K sta per Kelvin]

Un settaggio errato del bilanciamento del bianco crea deviazioni cromatiche e una erronea interpretazione dei colori della scena: è quindi importante capire come gestire il bilanciamento del bianco per rendere una rappresentazione corretta della scena oppure sfruttare questa funzione per inserire elementi creativi nella fotografia.

Messa a fuoco

Questa è una delle operazioni più importanti ed è da fare prima dello scatto: con la messa a fuoco decidiamo quale o quali soggetti rendere nitidi della nostra foto.

Meccanicamente questo si ottiene modificando la distanza tra i gruppi ottici dell’obiettivo e il sensore per ottenere una proiezione definita dell’immagine su quest’ultimo elemento.
Le macchine fotografiche dotate di messa a fuoco automatica consentono di effettuare questa operazione semplicemente premendo fino a metà corsa il pulsante di scatto: questo fa sì che l’obiettivo metta a fuoco il soggetto che stiamo inquadrando per poi terminare la corsa premendo il pulsante di scatto fino in fondo e scattare la fotografia.
La messa a fuoco è disponibile anche manuale in tutte le macchine fotografiche e consente di regolare manualmente la distanza di messa a fuoco: farlo manualmente può essere utile in condizioni in cui l’autofocus non riesce a trovare il soggetto in autonomia (per esempio in scene di scarsa luce o con poco contrasto) oppure quando si vuol mettere a fuoco un solo soggetto rispetto ad altri particolari

Importante: una foto fuori fuoco è persa e non c’è software in post produzione che possa riportarla a fuoco.

Il Tempo di scatto o tempo di esposizione

Dato che per ottenere la corretta esposizione possiamo agire tanto sui tempi quanto sui diaframmi, cerchiamo ora di capire se è il caso di preferire uno dei due parametri, ma, soprattutto, quale effetto provoca la loro variazione.

Quando andiamo a impostare il tempo di scatto, la sua velocità influisce molto sulla resa finale della fotografia, soprattutto in relazione a due fattori:

  • velocità di movimento del soggetto
  • stabilità della fotocamera

Vediamoli in dettaglio e con esempi specifici, che è quello che interessa.

Tempo di scatto e velocità del soggetto

Se il soggetto è in movimento è ovvio che per “congelarlo” ossia per bloccare il soggetto eliminando qualsiasi effetto mosso, dobbiamo usare un tempo di scatto molto veloce.

Ma veloce quanto? Non esiste una regola. Perché tutto dipende dalla velocità di movimento del soggetto.

Se parliamo di una persona che cammina, allora basterà un tempo rapido, tipo 1/250 o 1/500. Se siamo davanti a una Formula Uno in gara è probabile che 1/4000 sia ancora un tempo troppo lento. Se vogliamo scattare un passaggio di una Formula 1 in rettilineo e immortalarla lateralmente la velocità di scatto dovrà essere elevatissima, rispetto a se vogliamo inquadrarla da ¾ anteriore sempre mentre giunge in rettilineo.

Quindi dovete pensare, provare e stabilire da soli al momento quale sia il “tempo di congelamento” adatto a quel particolare soggetto in moto.

Il secondo fattore che influisce sulla velocità di scatto che usiamo, è la stabilità della nostra fotocamera. Se scattiamo a mano libera abbiamo un limite fisico abbastanza evidente, ovvero quella di tenerla ferma. Per quanto possiamo pensare di essere fermi e stabili, la foto ci dimostrerà spesso il contrario e lo farà con il più subdolo dei difetti: il micromosso.

Si chiama così una leggerissima “sfocatura” che è in realtà è dovuta appunto a un micro movimento del complesso fotocamera-lente che ha “impastato” il soggetto. Lo ha reso meno nitido come se fosse sfocato. Più la focale sarà lunga, ossia tele, maggiore sarà evidente questo problema.

Per evitare il micromosso abbiamo due possibilità.

  • tempo di scatto adeguatamente rapido
  • uso di un cavalletto

Se scattate a mano libera, per quanto possiate essere concentrati e bravi, esiste un limite fisico di “fermezza”. Il naturale tremolio dei muscoli contratti, il respiro, i nostri movimenti per tenere l’equilibrio sono tutte funzioni naturali, di cui non ci accorgiamo, che inducono instabilità nella fotocamera. Generalmente si suggerisce di non scattare mai a mano libera con un tempo inferiore a 1/125 di secondo. Questo anche se usate grandangolari. Se state invece usando tele, diciamo da 70mm in su, allora state sempre su tempi di almeno 1/250 di secondo. Con un 300mm si consiglia addirittura almeno 1/500.

Apertura del diaframma

Come abbiamo già accennato in apertura, il diaframma è un elemento meccanico che si trova all’interno degli obiettivi fotografici, quindi non è una caratteristica che puoi trovare indicata nella fotocamera con ottiche intercambiabili. Questo elemento meccanico ha la particolarità di poter creare un foro di dimensioni variabili (in base alle impostazioni) in modo tale da poter regolare la quantità di flusso luminoso (o luce) che passa all’interno dell’obiettivo.

Per rendere il concetto più semplice devi immaginare il flusso della luce.

Il sensore (o pellicola), per registrare un’immagine, deve essere colpito da una certa quantità di luce che proviene dall’esterno; ovviamente puoi gestire la sensibilità del sensore alla luce attraverso gli ISO. Questo flusso luminoso arriva da ciò che hai difronte a te ovvero della scena che stai fotografando. A questo punto che fa il flusso luminoso? Deve ovviamente passare attraverso l’obiettivo della tua fotocamera per poi trovare il sensore che si trova proprio alla fine del percorso.

In questo breve tragitto all’interno dell’obiettivo il diaframma ti dà modo, potendo regolare la grandezza di un foro, di decidere quanta luce far passare:

  • se c’è una luce molto intensa puoi decidere di farne passare poca;
  • se c’è una luce poco intensa (ambienti bui) poi decidere di farla passare tutta.

Puoi fare a meno del diaframma in fotografia?

Si può supporre che anche con il tempo di scatto puoi decidere l’intensità di luce che deve colpire il sensore (o pellicola) e che pertanto del diaframma potresti anche farne a meno. Ma c’è un limite fisico del quale non puoi sbarazzarti: l’obiettivo stesso è un diaframma (un foro nel quale passa la luce appunto).

Fatta questa precisazione, puoi veramente farne a meno? Probabilmente per la maggior parte delle foto che vengono fatte con delle camere compatte o con gli smartphone potresti anche far a meno e gestire la luce con il tempo di scatto e sensibilità ISO. Ma ti perderesti una cosa importantissima che deriva dalla regolazione del diaframma:

La gestione della profondità di campo

Come spiegare la profondità di campo? Per capire cosa sia non c’è mezzo migliore che un esempio pratico “L’arte dello sfocato”.

Prendi in mano una matita, distendi il braccio di fronte a te tenendola rivolta con la punta verso l’alto, e guardala. Osserva la matita e, con la coda dell’occhio, fai caso allo sfondo. Noterai che tutto ciò che sta dietro la matita è sfocato. Se però distogli lo sguardo dalla matita e ti concentri su ciò che sta dietro, succede l’esatto contrario: lo sfondo è nitidissimo, ma la matita risulta sfocata.

Questa è la Profondità di Campo: la capacità di vedere a fuoco tutti gli elementi, o solo parte di essi.

Nell’ esperimento si parla di Profondità di Campo ridotta, in quanto tale capacità è limitata (o matita o sfondo). Il nostro sistema visivo ne ha una ridottissima, ma è talmente rapido nel mettere a fuoco ciò che osserviamo, che non ce ne rendiamo conto. Abbiamo l’impressione che tutto sia perfettamente a fuoco.

Con la fotografia le cose stanno però diversamente: la tua fotocamera, a differenza della vista umana che funziona in modo continuativo come un video, è in grado di catturare e registrare solo un singolo momento e, di conseguenza, riesce a rendere visibile e distinguere gli elementi sfuocati da quelli nitidi.

Per poter avere il controllo della profondità di campo devi necessariamente disporre di una fotocamera con i comandi manuali (anche se sarebbe più corretto chiamarli semiautomatici):

  • M = manuale
  • A, Av = priorità di apertura diaframma

Se la fotocamera non dispone di questi comandi, ma solo di automatismi e scene pre-impostate, allora anche i limiti creativi sono messi a dura prova, o quanto meno si limitano agli aspetti riguardanti la composizione.

Abbiamo visto sia la velocità di apertura o scatto che il valore del diaframma e l’interazione di queste due determinano la profondità di campo.

  • Valore di diaframma basso, corrisponde ad una apertura ampia (foro grande)
  • Valore di diaframma alto, corrisponde ad una apertura piccola (foro piccolo)

Per quanto riguarda la profondità di campo, in fotografia:

  • Un valore di diaframma BASSO ti dà modo di avere pochi elementi a fuoco;
  • Un valore di diaframma ALTO ti dà modo di avere tanti elementi a fuoco;

ISO, cosa sono e a casa servono

Il concetto di sensibilità ISO esiste fin dai tempi dell’analogico. Il termine ISO indica la sensibilità che stai usando per scattare, è un valore che deriva dalla fotografia analogica, i rullini avevano un valore ISO (o ASA) preimpostato e venivano acquistati con sensibilità diverse a seconda di quale tipologia di foto si volesse scattare e se poi, cambiando la situazione di scatto, te ne serviva un altro, dovevi cambiarla. La cosa era decisamente poco pratica, e anche parecchio costosa.

Facciamo un passo indietro! La pellicola fotografica è il supporto, di natura chimica, per imprimere immagini. Il supporto di base più comune è un sottile nastro di materiale naturale trasparente, triacetato di cellulosa o sintetico, cioè di poliestere a cui è sovrapposto uno strato antialone per evitare riflessi interni. Gli strati successivi consistono in un’emulsione di micro cristalli di alogenuro d’argento dispersi uniformemente in gelatina sintetica. La sensibilità alla luce è data dai cristalli di alogenuro, prodotto combinando il nitrato d’argento con sali di alogeni (cloro, bromo e iodio) e può essere variata modificando le dimensioni dei cristalli. Più i grani erano grandi più la pellicola era sensibile e meno era la qualità, più i grani erano piccoli e meno la pellicola era sensibile è maggiore era la qualità della foto. Le pellicole a colori sono tarate per una determinata temperatura di colore, normalmente luce diurna (o fonti comparabili con temperatura colore 5500K).

Tuttavia le macchine fotografiche digitali lo hanno rivoluzionato da un punto di vista pratico, basta schiacciare un pulsante o girare una rotella per cambiare istantaneamente la velocità ISO del sensore, con un grande guadagno sia in termini di praticità che in termini economici.

Il significato di sensibilità (o velocità) ISO comunque è sempre lo stesso: sta ad indicare la quantità di luce che una pellicola (o il sensore della tua digitale) è in grado di assorbire in un certo tempo:

  • più è basso il valore ISO -> meno è sensibile il sensore -> più luce è necessaria -> maggiore devono essere l’apertura del diaframma e/o il tempo di scatto
  • più è alto il valore ISO -> più è sensibile il sensore – > meno luce è necessaria -> minori devono essere l’apertura del diaframma e/o il tempo di scatto

Naturalmente questa capacità di assorbire più o meno velocemente la luce ha delle conseguenze. Facciamo un esempio, immaginiamo di essere in una stanza illuminata solo da una piccola lampadina. La luce disponibile ovviamente è molto poca, quindi la logica dice di usare una tra le aperture maggiori che il nostro obiettivo ci permette (ipotizziamo per ipotesi f/2.8). A questo punto la fotocamera ci suggerisce un tempo di scatto, ad esempio, di 2 secondi. Questo tempo risulta essere impraticabile per uno scatto a mano libera, in quanto il mosso è certo. Bene, le possibilità che avrete saranno tre: utilizzare il flash, montare la macchina fotografica su un cavalletto, oppure aumentare la sensibilità ISO. Tralasciamo momentaneamente il discorso del flash e anche la questione del cavalletto (non sempre utilizzabile) e concentriamoci sugli ISO.

Come abbiamo detto, gli ISO indicano la sensibilità alla luce del sensore della tua macchina fotografica, e sono un elemento chiave dell’aspetto finale che prendono le tue fotografie. Infatti, insieme all’apertura del diaframma e al tempo di esposizione, essi costituiscono il cosiddetto “triangolo dell’esposizione”, che determina la quantità di luce che viene catturata dal sensore. (che prenderemo in esame successivamente)

Questa quantità di luce catturata è la somma di due grandezze diverse, la quantità di luce che raggiunge il sensore, la quale dipende dall’apertura del diaframma e dal tempo

La scala ISO di una macchina fotografica si muove a potenze di 2. Quindi, tipicamente, parte da 100 (sensibilità minima) per poi muoversi a 200, 400, 800, 1600, e così via, fino alla sensibilità massima del sensore che può arrivare anche a valori di 409.600 (Sony a7s costo € 4.200,00 Iso 80 – 102.400 o impostati con intervallo esteso 40 – 409.600).

Ogni volta che raddoppiamo il valore degli ISO “raddoppiamo la quantità di luce che il sensore è in grado di riconoscere”. Questa spiegazione non è tecnica, ma spero che almeno sia chiara. In altre parole, aumentare gli ISO è come chiedere alla macchina fotografica di spremersi al massimo per cercare di “vedere” in condizione di poca luce. Non tutto è oro quello che luccica. Infatti purtroppo gli ISO hanno un aspetto negativo: quando si aumentano gli ISO la qualità della fotografia tende a diminuire, a causa del rumore digitale. Il rumore digitale si presenta come una granulosità dell’immagine, con punti (pixel) di colore diversi (e sbagliati) rispetto a quelli circostanti.

Qui entra in gioco anche la qualità della fotocamera, fotocamere di qualità permettono di ottenere fotografie pulite anche ad ISO elevati, fotocamere inferiori o più vecchie obbligano a non poter alzare troppo il valore ISO.

Come avete capito il valore ISO è il valore di un’entità astratta, se il valore del diaframma sta ad indicare il diametro di un foro, il valore ISO indica solamente un valore matematico cosa che rende un po’ più difficile la comprensione. Per semplificare il concetto guardiamone subito l’aspetto pratico: ad ogni passaggio tra un valore e quello successivo, la “capacità di vedere con poca luce” raddoppia. Come per i tempi di scatto e per i valori del diaframma è da sottolineare che la maggior parte delle fotocamere permette di selezionare valori intermedi per una maggiore flessibilità, con incrementi di ½ o di 1/3.

Come detto, aumentare i valori ISO ha come risvolto della medaglia quello di aggiungere rumore alla fotografia. Uno dei parametri che indica la bontà di una macchina fotografia è proprio questo, la capacità di produrre poco rumore anche impostando valori ISO elevati. A proposito di rumore, però, bisogna avere bene chiara una cosa. Se da una parte bisogna sempre cercare di tenere il valore ISO al minimo possibile, dall’altra non bisogna nemmeno aver paura di alzarlo quando necessario. Una fotografia con un po’ di rumore è sempre meglio di una mossa, o peggio ancora, di una non scattata! Senza considerare il fatto che poi, davanti al computer è possibile togliere parte del rumore tramiti software appositi.

Bilanciamento del bianco

Prima di vedere il bilanciamento del bianco, dobbiamo parlare di un concetto fondamentale: la temperatura del colore. La temperatura del colore è una caratteristica della luce visibile, tutte le fonti luminose hanno una propria temperatura che viene misurata in gradi Kelvin (K). Al contrario di quello che sembra, una luce con un’elevata temperatura del colore è una luce tendente al blu (luce fredda), mentre una luce con una bassa temperatura del colore sarà tendente al rosso e di conseguenza verrà chiamata “calda”. Qua sotto possiamo notare una scala di gradi kelvin con alcuni esempi di fonti luminose, la luce neutra (sulla quale si basa la scala) è quella che troviamo solitamente durante una giornata soleggiata che ha una temperatura di circa 5000 gradi Kelvin. La luce del sole, durante la giornata, cambia in continuazione, non solo all’alba o al tramonto, ma anche quando il sole è alto. La temperatura colore della luce varia in base a tanti fattori.

Il bilanciamento del bianco è il processo grazie al quale è possibile correggere eventuali dominanti di colore di una fotografia in modo da rendere più corretta possibile la riproduzione delle tonalità catturate dal sensore della fotocamera digitale. Come visto prima, le diverse sorgenti luminose più o meno calde influenzano i colori di tutto ciò che ci circonda. Il nostro occhio è una macchina perfetta e si adatta automaticamente ai cambi di luce. Un foglio bianco lo vedremo sempre bianco indipendentemente dal fatto che lo si osservi sotto ad una luce ad incandescenza o all’aperto in una giornata nuvolosa. Il sensore della nostra fotocamera è ben lontano da essere complesso come il nostro occhio e per questo motivo una fotocamera con un bilanciamento del bianco non correttamente impostato interpreterà il colore del foglio in modo diverso in base alla “temperatura” della luce che lo illumina. Per aiutare il sensore a catturare correttamente i colori dobbiamo suggerirgli che tipo d’illuminazione abbiamo di fronte a noi, ed è per questo che tutte le fotocamere digitali hanno la possibilità di intervenire su un parametro che si chiama appunto “bilanciamento del bianco”. Sono certo che vi sia capitato spesso di fare fotografie al chiuso e una volta scaricate a casa vi siete accorti che tendevano tutte al rosso e sono anche certo che avrete fatto fotografie sulla neve (magari senza sole) con un risultato finale tendente al blu. Il bilanciamento del bianco serve a correggere questi errori! Dicendo alla fotocamera che tipo d’illuminazione c’è di fronte a noi, essa si metterà nelle condizioni di compensare un’eventuale luce troppo calda o troppo fredda col risultato che l’immagine avrà una temperatura neutra e dei colori decisamente più reali.

Per poter modificare le impostazioni del bilanciamento del bianco basterà cliccare sull’apposito bottone WB (white balance) che si trova su praticamente tutte le reflex digitali. Una volta cliccato sul pulsante WB vi troverete a video una schermata tipo questa sotto dove dovrete semplicemente selezionare il tipo d’illuminazione adatta al contesto in cui siete. (vedremo tra poco il significato dei vari simboli)

Il simbolo AWB sta a significare “automatic white balance”. In questa modalità la fotocamera calcola automaticamente la temperatura di colore e non avrete modo di modificarla. Solitamente è la modalità più utilizzata che va comunque bene nella maggior parte delle volte, soprattutto se siete all’aperto. Può essere un problema se state scattando in luoghi chiusi con luci calde perché non sempre la fotocamera le riconosce.

La modalità tungsteno o incandescenza la si usa quando si scatta al chiuso in un ambiente illuminato da lampadine calde. Questa modalità serve per “raffreddare” i toni e rendere i colori più naturali.
Al contrario della modalità precedente, la fluorescenza si usa quando l’ambiente in cui stiamo scattando è illuminato da una luce fredda tipo quella di un neon. Selezionando questa modalità andremo a “scaldare” i colori che altrimenti sarebbero molto freddi.
Il simbolo del sole è facile da capire. La modalità luce solare la si usa quando siamo all’aria aperta e stiamo fotografando al sole, senza la minima ombra o nuvola
Questa modalità di bilanciamento del bianco è ideale durante le riprese in una giornata nuvolosa. Questa modalità viene usata in molti ambiti perché tende a generare foto con dominanti gialle/arancio che risultano spesso piacevoli da vedere.
Questa modalità si usa quando si fotografano, durante il giorno, soggetti che si trovano all’aperto ma all’ombra, mentre il sole non è coperto da nuvole.
Questa è abbastanza facile da capire. Se siete al chiuso ma usate un flash per illuminare la scena, questa è sicuramente la modalità che dovete utilizzare.

Bilanciamento del bianco manuale

Il bilanciamento manuale è più complesso da impostare ma risulta sicuramente la scelta migliore per avere gli scatti sempre sotto controllo e per esser certi del risultato. Questa impostazione servirà in ambienti chiusi in cui sono presenti fonti luminose con caratteristiche differenti. Scegliendo la modalità manuale avrete il controllo completo e sarete voi a dire alla fotocamera come comportarsi. Una volta selezionata la modalità manuale, bisogna scattare una foto ad un foglio bianco (inquadrandolo a pieno schermo, illuminato con la luce che sarà presente nelle foto successive). Questo serve ad indicare alla fotocamera di prendere come riferimento un oggetto che in quella data scena risulta “bianco”. Così facendo la fotocamera capisce che tipo d’illuminazione è presente nella scena e si adegua di conseguenza. Il bilanciamento del bianco è una delle impostazioni che devono essere capite bene per evitare di scattare immagini con dominanti di colore che rovinerebbero il risultato finale.

Messa a fuoco

Tra le tante regole nella fotografia (e che possono essere infrante tranquillamente) ce ne è una che è fondamentale: la messa a fuoco. A meno che non vogliate immortalare un mosso creativo o vogliate fare uno scatto astratto, una foto con una messa a fuoco sbagliata è una foto da buttare via. Non c’è software di fotoritocco che correggerà la messa a fuoco, non è stato ancora inventato, per cui, molta attenzione a cosa mettere a fuoco perché potrebbe compromettere la riuscita dello scatto.

Quando ci guardiamo attorno con i nostri occhi, abbiamo la percezione che tutto sia nitido e sempre a fuoco. Questo perché l’occhio umano è un organo altamente complesso, abituato a “focalizzare” continuamente quello che sta osservando e abituato a continui cambiamenti repentini di luce e inquadrature. In realtà il nostro occhio vede a fuoco solamente quello che sta puntando direttamente, tutto quello che è attorno (coda dell’occhio) rimane riconoscibile ma sicuramente sfuocato.

L’obiettivo della macchina fotografica si comporta nello stesso modo dei nostri occhi, solo una parte dell’immagine viene messa a fuoco, questa area viene chiamata profondità di campo.

Tecnicamente quindi, la messa a fuoco in fotografia consiste nella regolazione della distanza tra le lenti dell’obiettivo e il sensore della fotocamera in modo che il soggetto prescelto di fronte a noi risulti ben nitido sul sensore. La regolazione di tale distanza può esser fatta in 2 modalità: automatica o manuale.

Nella messa a fuoco automatica (pulsante AF sull’obiettivo) è tutto molto semplice: il fotografo inquadra il soggetto, seleziona il punto di messa a fuoco e preme leggermente (non tutto) il pulsante di scatto. In questa fase, le lenti dell’obiettivo si spostano in frazione di secondo e regolano correttamente la messa a fuoco sul punto prescelto.

La messa a fuoco manuale viene spesso messa da parte, in particolar modo da chi proviene direttamente dal mondo digitale e non ha mai scattato con i vecchi rullini. Ci sono però molte situazioni in cui è obbligatorio passare alla modalità manuale per una migliore messa a fuoco del soggetto che con l’automatismo si rischierebbe di perdere.

Mi riferisco in particolar modo alle situazioni di scarsa luce (all’interno di una chiesa per esempio) dove l’autofocus potrebbe sbagliare o addirittura non funzionare. Ma anche situazioni “difficili” come la nebbia o vetrate che riflettono la luce potrebbero fare impazzire l’autofocus.

Passare dall’autofocus al manuale è semplicissimo, basterà spostare l’apposito tasto sull’obiettivo da AF a MF (manual focus). A questo punto non servirà più premere a metà il pulsante di scatto per mettere a fuoco ma basterà girare l’apposita ghiera sull’obiettivo finché il soggetto che vogliamo mettere a fuoco non sarà perfettamente nitido.

Mettere a fuoco in fotografia non significa solamente rendere nitida un’immagine o una parte di essa, la messa a fuoco “corretta” può cambiare completamente il modo di guardare una fotografia rendendola “penetrabile” da parte dell’osservatore creando una sorta di connessione emozionale con quest’ultimo.

Concentrarsi attentamente sulla scena che si sta per immortalare e d’individuare il soggetto principale che andrà messo perfettamente a fuoco. Attenzione!!! Un’immagine fuori fuoco è un’immagine sbagliata.

L’immagine che vedete è un articolo molto utile, specialmente per chi è alle prime armi e si accinge a lavorare sul tavolo di Still Life), per mettere a fuoco l’oggetto da fotografare. È semplice da usare, dobbiamo solo avere l’accortezza di posizionare la scheda di calibrazione al posto dell’oggetto e inquadrandolo dobbiamo leggere in maniera nitida quello che è stampato di di esso. Ci sono delle regole da seguire, ma questo non è il momento di approfondire.

Triangolo dell’esposizione

I parametri che regolano l’esposizione sono tre:

  • apertura (o diaframma): indica la dimensione dell’apertura del diaframma, che si trova all’interno dell’obiettivo nel momento in cui si scatta la foto (maggiore è l’apertura, maggiore è la quantità di luce che entra);
  • tempo di esposizione: indica l’ampiezza dell’intervallo di tempo durante il quale l’otturatore rimane aperto (più lungo intervallo di tempo, maggiore è la quantità di luce che entra);
  • ISO: indica la sensibilità alla luce del sensore.

Tutte le macchine fotografiche reflex digitali permettono di regolare questi tre parametri. Anche alcune digitali compatte ne consentono il controllo, in particolare quelle di fascia alta (le cosiddette fotocamere bridge).

Assieme, apertura, tempo di esposizione e ISO formano il triangolo dell’esposizione.

Per un fotografo che non voglia limitarsi unicamente ai modi di scatto automatici è fondamentale sapere come questi tre parametri interagiscano tra loro e come concorrano a creare una corretta esposizione.

Inoltre, essi influiscono considerevolmente sull’estetica della foto. Di conseguenza una loro conoscenza approfondita permette un maggior controllo creativo e qualitativo sulle foto.

I tre parametri nel triangolo dell’esposizione sono strettamente legati tra loro.

Infatti, per far sì che la stessa quantità di luce raggiunga il sensore possono essere utilizzate molteplici combinazioni di apertura, tempo di esposizione e ISO. Per esempio, quando aumentiamo il tempo di esposizione, possiamo ottenere la medesima esposizione diminuendo l’apertura e lasciando invariata l’ISO. Se invece aumentiamo l’ISO, potremo diminuire il tempo di esposizione lasciando invariata l’apertura, e così via.

La modifica dei tre parametri dell’esposizione comporta diversi risultati estetici nelle fotografie. Ad esempio, incrementare l’ISO causa un aumento del rumore, che è più visibile quando nella foto sono presenti toni scuri (per esempio un cielo notturno).

Quindi, per esempio, se volessimo scattare una foto all’aperto di sera, o di notte, potremmo pensare di aumentare il valore della sensibilità, in maniera da ridurre il tempo di esposizione (che in una tale situazione potrebbe diventare molto alto) ed evitare così una foto mossa.

Purtroppo però, questo comporterebbe un aumento del rumore e di conseguenza una “sgranatura” e la comparsa di tanti puntini colorati nelle zone più scure della foto, che nei casi peggiori la potrebbero rendere inutilizzabile.

Oppure, per ottenere uno sfondo sfocato, come si vede ad esempio in molti ritratti, potremmo voler aumentare l’apertura. Se però ci trovassimo all’aperto, sotto il Sole, in una giornata molto luminosa, ci accorgeremo che usando un’apertura molto ampia la foto risulterebbe, molto probabilmente, sovraesposta.

  • Sovraesposta
    • Foto troppo chiara
  • Sottoesposta
    • Foto troppo scura

Come posizionare le luci

Uno schema d’illuminazione basilare prevede l’utilizzo di almeno tre fonti:

Key Light o Luce principale

  • È quella che illumina il soggetto, cioè quella che darà una caratterizzazione prevalente alla scena. Attenzione! Non significa che si tratti automaticamente della luce più potente e forte sul set

Fill light o luce di riempimento

  • Riempire le ombre create dalla luce principale, di solito è una luce morbida utile a definire maggiormente i dettagli del soggetto

Background light

  • Normalmente è posizionata in alto e dietro al soggetto, dedicata esclusivamente allo sfondo che serve a dare profondità all’inquadratura.

Schema delle luci

Per realizzare uno scatto “canonico” lo schema luci che ci permette di andare a colpo sicuro è quello frontale simmetrico. Ovvero costituito da 2 punti luce disposti a destra e a sinistra del soggetto, frontalmente, entrambi equidistanti, alla stessa altezza e regolati alla medesima potenza. Quella che ne risulterà sarà un’illuminazione di tipo descrittivo.

A tale configurazione si possono aggiungere, o utilizzare come variante, delle lampade un po’ più laterali in quello che viene definito schema frontale espanso. Sistemando delle torce nella zona retrostante il soggetto (luci di contorno) si potrà creare un raccordo più o meno evidente con lo sfondo oppure togliere le ombre retrostanti il soggetto. In questo modo si crea un effetto di profondità, rendendo lo scatto “meno piatto”.

Un altro schema molto diffuso, in grado di formare una sorta di ombra al centro del soggetto, che gli dona tridimensionalità, è quello a taglio simmetrico. Qui le luci sono poste lateralmente, a destra e a sinistra del set.

Di accessori da posizionare sui faretti o flash ce ne sono tanti (si chiamano diffusori) ed ognuno crea un effetto particolare, modellando la luce per creare un effetto che il fotografo aveva in mente per il suo scatto; ne vediamo alcuni:

  • Parabola
    • in gergo da set detta anche cupolino, è il diffusore base, quello che non può mancare a nessuno. Va sistemato sulla torcia e andrà a generare un’illuminazione ancora abbastanza dura, che può essere ammorbidita da un diffusore da inserire nella parte frontale.
  • Griglia a nido d’ape
    • Lascia filtrare i raggi paralleli, ciò significa che andrà a creare un gradiente. Al centro la luce manterrà la sua intensità originaria per poi smorzarsi ai lati. Si usa specialmente sulle background light, per sfondi che vanno da un tono scuro a uno più chiaro. Oppure rappresenta un’ottima soluzione nei controluce
  • Ombrelli
    • i diffusori dedicati alla luce riflessa e non diretta. Creano un bagliore diffuso, morbido, non netto o definito. Gli ombrelli bianchi eliminano gli stacchi netti mentre quelli con superficie argentea si applicano per contrasti un po’ più definiti. Ottimi se prevediamo che l’output finale delle nostre immagini sarà in bianco e nero
  • Bank
    • i più grandi softbox disponibili che, di conseguenza, aiuteranno a rimuovere tutte le ombre e a rendere davvero dolce l’illuminazione
  • Beauty dish
    • un accessorio un po’ più professionale e meno diffuso, pensato per il beauty e per i ritratti. Si tratta di una parabola con un disco centrale: utilizzata a una certa distanza dal soggetto, lo esalta creando un’area luminosa e soft centrale e una in contrasto assai scura tutta intorno. Perfetto per disegnare tridimensionalità.

Ciò detto non è che una illustrazione superficiale nel mondo delle luci e illuminazione del set. La pratica e fondamentale per creare schemi che possano soddisfare l’idea che aveva in mente il fotografo. Ci sono schemi “canonici” per poter effettuare degli scatti standard, ma da questi schemi che la fantasia potrà creare scatti “unici”.

Le inquadrature

Può essere utile conoscere come vengono definite le diverse inquadrature, sia nel settore fotografico che per i video (non dimentichiamo che un video è una successione di foto!). Questo schema vi fa subito capire a cosa corrispondono le nomenclature:

Primissimo piano (PPP)

  • Il Primissimo Piano va dalla fronte a sotto il mento. Gli occhi si situano all’incirca sulla linea del primo terzo dell’inquadratura, la bocca sulla linea del secondo terzo. Il viso occupa tutta l’inquadratura e la parte compresa tra la bocca e gli occhi sta sulla fascia centrale.

Primo Piano (PP)

  • Il Primo Piano è un PPP allargato simmetricamente sopra gli occhi (sino a includere tutti i capelli ed eventualmente un piccolo spazio in alto chiamato in gergo aria in testa) e sotto il mento (sino a includere le spalle). Come nel PPP, anche nel PP, dunque, le linee degli occhi e della bocca rimangono centrali, ben in evidenza. 

Piano Medio (PM)

  • Il Piano Medio va da sopra i capelli (lasciando aria in testa) sino alla vita. Il viso è ben visibile con tutte le sue espressioni. Quando la linea inferiore si ferma sotto il petto si chiama Mezzo Primo Piano, sotto le coste Mezzo Busto.

Piano Americano (PA)

  • Il Piano Americano riprende la figura da sopra i capelli (lasciando aria in testa) sino alle ginocchia. Viene definito così perché ha origine nel cinema western in modo da mettere in campo le fondine delle pistole, abbigliamento fondamentale in quel genere di film.  

Figura intera (FI)

  • La Figura Intera è costruita a partire dai capelli (lasciando aria in testa) sino ai piedi compresi. Il soggetto occupa col suo corpo l’intera altezza dell’inquadratura.

Campo Medio (CM)

  • Nel Campo Medio il corpo del soggetto occupa da un terzo a metà dell’altezza dell’inquadratura. Del viso si percepiscono solo le espressioni più marcate. 

Campo Lungo (CL)

  • Nel Campo Lungo il soggetto è lontano (più o meno tra un terzo e un decimo dell’altezza del quadro). Non si scorge più alcuna espressione del viso né i suoi tratti, ma la gesticolazione più pronunciata è ancora visibile. L’ambiente prevale nettamente sulla persona. 

Campo Lunghissimo (CLL)

  • Nel Campo Lunghissimo il soggetto è molto lontano (non supera un decimo dell’altezza del quadro). Si percepiscono i suoi movimenti nello spazio, ma la gesticolazione non è chiara. L’ambiente è assolutamente prevalente.

Dettaglio, particolare, totale

  • I piani si riferiscono sempre alle persone. Per cui un piano ravvicinato di un animale o di un oggetto si definisce sempre come dettaglio. Quando animali o cose sono ripresi per intero si chiamano totali. Quando di una persona si riprende solo una parte che non sia uno dei piani di cui sopra, si parla di particolare (ad esempio: particolare degli occhi, oppure particolare della mano).